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Postilla » Fisco » Il Blog di Mario Damiani » Accertamento, sanzioni e processo tributario » Scudo fiscale a copertura proprio garantita?

23 settembre 2009

Scudo fiscale a copertura proprio garantita?

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Anche l’Agenzia delle entrate utilizza il suo sito a mo’ di blog e la lettura degli interventi di questi primi giorni è uno spaccato incredibile di situazioni indicative tanto di illeciti solo fiscali connessi ad evasioni da sottrazioni di ricavi, senza porre in essere azioni fraudolente, che di movimenti finanziari la cui matrice può nascondere vicende ben più oscure (frodi fiscali, riciclaggi da corruzioni o da malaffare ecc.).

Credo che la preoccupazione maggiore dei contribuenti interessati allo scudo sia in buona sostanza quella di sapere se lo scudo copre realmente gli illeciti fiscali oppure se presenta smagliature che lo possono rendere insidiosamente pericoloso. Non mi riferisco ai profili penali connessi ai reati previsti dal D.Lgs. n.74 del 2000, in particolare la dichiarazione fraudolenta o infedele, che un emendamento in corso di approvazione (oggi) da parte del Senato (quello di Fleres al D.L. n.103) tende ad escludere dalla punibilità e neppure all’inutilizzabilità del rimpatrio o della regolarizzazione quale elemento a sfavore del contribuente, in ogni sede amministrativa o giudiziaria, in via autonoma o addizionale, comprese quelle civili e tributarie. Entrambe queste misure dovrebbero quindi incentivare il ricorso allo scudo ed evitare anche qualche effetto collaterale, quale le azioni civili degli altri soci all’oscuro dell’espatrio di somme di provenienza societaria o dell’associazione professionale (anche se qualche dubbio di tenuta di questa misura esiste perchè va ad incidere sui diritti dei terzi).

Riesce però davvero arduo ritenere che questo emendamento possa costituire una copertura a tenuta garantita nei confronti di accertamenti presuntivi o induttivi a carico delle società alle quali possano essere ricondotte le distrazioni delle somme poi appoggiate sui conti dei soci, muovendo dalla contestazione della complessiva inattendibilità delle sue scritture contabili, dovuta a fatture false utilizzate o emesse e dall’omessa contabilizzazione di ricavi connessa all’accredito, ad esempio, estero su estero, di parte dei corrispettivi. Per i contribuenti persone fisiche che risultano (o risultavano negli ultimi 5 anni) soci di società – di persone o di capitali – l’insidia può risiedere nell’attivazione da parte del Fisco della presunzione che i capitali detenuti all’estero sono il frutto dell’evasione da parte della o delle società in cui partecipa il contribuente (se non ha altre fonti di entrata personali).

E’ stato correttamente osservato che l’eventuale accertamento del Fisco basato sul redditometro, ed in particolare su apporti di capitale alla società cui partecipa il soggetto che si avvale dello scudo, può sicuramente essere paralizzato dall’opposizione dello scudo stesso, ma questa circostanza consentirebbe però agli organi di verifica fiscale di prendere agevole cognizione delle somme rimpatriate o regolarizzate e di presumere che esse sono espressione di utili distribuiti dalla società partecipata dalla persona fisica; utili certamente non tassabili in capo al socio, per effetto dello scudo, ma che possono considerarsi indicatori di redditi sfuggiti all’imposizione nei confronti della società stessa quanto ad Ires, Irap ed Iva, con le relative sanzioni amministrative e, a carico degli amministratori, eventualmente di quelle penali. Già, proprio l’Iva, che è un’imposta armonizzata a livello UE e che perciò, facendo tesoro delle pronuncie della Corte di Giustizia UE, non potrà ritenersi inclusa tra le imposte alle quali si estende lo scudo, potrebbe costituire un aggravio non di poco conto per professionisti e imprenditori persone fisiche o per società alle quali possano ricondursi per fondata presunzione quelle somme esportate illegalmente.

Questa eventualità, gravida di codeste importanti conseguenze, potrebbe essere scongiurata solamente se lo “scudato“-socio riuscisse a fornire una valida prova che i capitali sono stati costituiti all’estero in epoca anteriore a quella che fa maturare la decadenza del Fisco (articolo 43 Dpr 600/73) dal potere di accertamento (il 31 dicembre del quarto anno – o del quinto se è stata omessa la dichiarazione – successivo a quello di allocazione all’estero delle somme scudate).

La bozza di circolare messa in consultazione dall’Agenzia appare alquanto laconica su queste criticità normative e non potrebbe essere però altrimenti: da una parte essa deve commentare la normativa emanata con il necessario rigore interpretativo e dall’altra non ha da spaventare i potenziali aderenti allo scudo paventando rischi al momento di nebulosa consistenza, che è il caso di glissare, ma che studiosi, commentatori ed opinionisti non possono ignorare e che debbono con grande onestà considerare e sottoporre a riscontri altrettanto rigorosi.

La coperta, insomma, rischia di essere comunque corta e di lasciare forse spazi a fastidiosi spifferi.

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