16 maggio 2011
Diritti e doveri del fisco solidale
Intorno all’indicazione, che è rimessa alla scelta dei contribuenti nella dichiarazione annuale dei redditi, del cinque per mille agli enti di ricerca ed Onlus si scatena ogni anno un vero festival delle sollecitazioni, soprattutto rivolte agli studi professionali degli intermediari fiscali.
E’ questa una scelta che può aggiungersi a quella relativa alla destinazione dell’otto per mille, riservata alle Chiese (o allo Stato, a cui viene devoluta in via residuale).
Entrambe sono espressione di elevato livello di civiltà giuridica e sociale, e quindi di esercizio diretto della democrazia partecipativa, perché, escluso dall’art.75 della Costituzione il referendum in materia di leggi di bilancio, su cui sarebbe lecito riaprire una discussione, consentono al cittadino-contribuente di eseguire individualmente una scelta sull’impiego specifico di una frazione, pur limitata, della propria contribuzione di matrice tributaria, mentre le scelte di spesa competono, in generale, ai propri rappresentanti popolari in Parlamento.
Ma, a prescindere dalle valutazioni etico-politiche relative alla destinazione religiosa o umanitaria e sociale, non può ignorarsi l’istanza dei contribuenti che vogliono verificare se le proprie scelte siano state giuste o sbagliate, e quindi da confermare o cambiare, e se i destinatari abbiano o no bene amministrato i fondi loro erogati a seguito di quelle scelte. Un diritto al rendiconto è quindi insito nella devoluzione di parte del proprio tributo ad organismi che non sono sottoposti al controllo pubblico della spesa. E dato che la provenienza delle somme è comunque pubblica (derivando appunto dal pubblico dei contribuenti) ci si attenderebbe che una delle condizioni previste per fruire di queste devoluzioni sia l’esistenza di un sistema di autoregolamentazione (Statuto o atto di fondazione) di ciascun ente beneficiario, che sancisca l’obbligo di rendere pubblico conto dell’impiego delle risorse di matrice tributaria affidate ed una forma di controllo indipendente di questi rendiconti.
Ovviamente non basta un semplice schema che evidenzi, pur con trasparenza, quali siano stati i vari capitoli di spesa sostenuti (investimenti, organizzazione, personale dipendente, fini istituzionali e simili), risultando essenziali le informazioni sul raggiungimento degli obiettivi prefissati dai fini istituzionali.
Negli istituti di ricerca, ad esempio, in particolare in campo sanitario, è determinante essere informati su quali progetti sono state impiegate le risorse e con quali risultati nel tempo, oltre che conoscere lo sforzo scientifico fatto e con quali risorse umane (ricercatori). In altri termini quanto è realmente destinato alla ricerca e quanto all’organizzazione e struttura dell’ente e quali risultati sono stati raggiunti o sono in corso di perseguimento.
I tributi sono pagati con sacrificio da parte dei contribuenti e quella piccola parte che essi hanno facoltà di devolvere individualmente deve essere trattata non come elargizione liberale, a titolo di elemosina, ma come impegno civile e sociale cui deve corrispondere l’obbligo di destinazione secondo i fini proclamati nelle sollecitazioni avanzate a fronte del diritto di informazione dei cittadini.
Il fisco solidale non è parente povero di quello federale; il primo è espressione diretta dei cittadini, il secondo di quella del territorio di appartenenza i cui rappresentanti devono risponderne. Insieme possono contribuire all’affermazione della partecipazione, diffusa e consapevole, alle scelte sull’impiego delle risorse pubbliche derivanti dai tributi ed al controllo degli obiettivi dichiarati, nel contesto di quel principio di sussidiarietà che già l’Enciclica Quadrigesimo anno di Pio XI evocava: “È vero certamente che […] molte cose non si possono più compiere se non da grandi associazioni, laddove prima si eseguivano anche dalle piccole. Ma deve tuttavia restare saldo il principio importantissimo nella filosofia sociale: che siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare..”
Non sembri poco in una società che ondeggia ancora tra eccessi di interventismo statalista o di nostalgie stataliste e quelli di liberismo senza regole o con regole inadeguate.
Scritto il 16-5-2011 alle ore 16:06
Anche il fisco può essere utilizzato per fare del bene. E’ necessario però che chi riceve il denaro faccia realmente il bene e lo faccia constatare.
Sarebbe bello se questo sistema venisse esteso per destinare le somme alle spese pubbliche che si vuole privilegiare!
Scritto il 16-5-2011 alle ore 16:15
Il cinque per mille è un formidabile strumento di devoluzione democratica delle risorse, troppo esiguo e limitato. Purtroppo le Onlus ottengono i pagamenti dallo Stato con molto ritardo. E’ giusto però che esse siano tenute a fornire un rendiconto delle spese eseguite con le somme ricevute dai contribuenti. Sarebbe utile anche per conoscere come si estende questo fenomeno e quali iniziative versamente sociali vengono attivate.
Scritto il 16-5-2011 alle ore 19:58
Il fatto è che il fisco viene considerato dai cittadini nella veste peggiore, quella del prelievo (poco gradito). Invece nel post si scorge un altro profilo, tutto da valorizzare. Quello delle scelte che spettano solo a chi paga le tasse e può almeno essere padrone di destinare una (piccolissima parte) al culto e al sociale. Questa è democrazia partecipativa e non solo passiva ed indotta!
Scritto il 16-5-2011 alle ore 20:03
C’é un’altra cosa, Giuseppe. Le scelte dell’8 e del 5 per mille sottraggono potere (e soldi) alla politica ed ai politici per scopi nobili e condivisi.
Scritto il 17-5-2011 alle ore 10:45
E perché non pensare ad un fisco municipale in cui una parte dei tributi locali siano destinati dai contribuenti a finalità specifiche del Comune o della Regione?
Alcune opere pubbiche o interventi nel sociale verrebbero indicati dai cittadini e non rimessi ai politici.
Ma forse é una fuga troppo … in avanti.
Scritto il 18-5-2011 alle ore 17:14
Se il federalismo fiscale rappresenta lo strumento utile per responsabilizzare la politica sul territorio e per vincolare gli amministratori locali a programmi di spesa sostenibili, il fisco solidale dovrebbe essere la nuova frontiera dell’impegno civile se verrà realmente utilizzato per attività socialmente utili come le spese di ricerca medica. E’ giusto però che chi beneficia dei fondi dica come li ha spesi e quali risultati ha ottenuto per la collettività.
Perché non si costituisce un organismo nazionale di garanzia (magari con prevalenza femminile)?
Scritto il 19-5-2011 alle ore 07:34
IO DIREI CHE TUTTE LE SPESE E LE ENTRATE DOVREBBERO ESSERE PUBBLICIZZATE OBBLIGATORIAMENTE NEI SITI WEB ED ESSERE SPIEGATE IN PAROLE SEMPLICI COME SI INVESTONO I SOLDI, PER POTER ESSERE CONTROLLATE DA NOI POPOLO ITALIANO, E POI DELLA FINANZA CREATIVA………..CHE COSA SE NE FARANNO???